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L’UTILIZZO DELLE SCHEDE CARBURANTI


La disciplina della scheda carburante è contenuta nel Decreto del Presidente della Repubblica numero 444 del 1997.
La scheda carburante viene utilizzata per certificare gli acquisti di carburante per autotrazione, eseguiti da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi, presso gli impianti stradali di distribuzione.
A fronte di tali acquisti, i gestori di impianti di distribuzione di carburanti per autotrazione, salvo specifiche ipotesi, non possono emettere fattura (articolo 21 del Testo Iva); tale divieto è contenuto nell’articolo 1, comma 3, del DPR 444 del 1997.
La circolare del Ministero delle Finanze numero 205/E del 12 Agosto 1998, ha stabilito che la scheda carburante è utilizzabile “ai fini della detrazione dell’imposta sul valore aggiunto e della giustificazione dell’acquisto … agli effetti dell’imposizione diretta”.

Modalità di utilizzo della scheda carburanti
La scheda va compilata mensilmente o trimestralmente per ogni veicolo a motore utilizzato nell’esercizio d’impresa, arte o professione.
La cadenza mensile o trimestrale può essere scelta a prescindere dalla periodicità della liquidazione Iva applicata. A tale conclusione è pervenuto il Ministero delle Finanze con la sopra menzionata circolare 205/E, di cui si riporta il seguente stralcio: “la scelta della scheda carburante è libera nel senso che nulla vieta ad esempio che i contribuenti trimestrali possano utilizzare le schede mensili”; in modo analogo, il contribuente che adotta la liquidazione Iva mensile può utilizzare le schede carburanti trimestrali.

Dati da indicare nella scheda carburante
La compilazione della scheda carburanti prevede l’indicazione dei seguenti dati:
ü dati relativi al soggetto che esegue l’acquisto di carburante:
Ø ditta, denominazione o ragione sociale ovvero cognome e nome;
Ø domicilio fiscale;
Ø numero di partita Iva.
Questi dati possono essere indicati nella scheda mediante l’apposizione di un timbro.
ü dati relativi al veicolo:
Ø la casa costruttrice;
Ø il modello;
Ø la targa o il numero del telaio o altri estremi identificativi del veicolo apposti dall’impresa costruttrice.
Con riguardo agli estremi di individuazione del veicolo, la sentenza della Corte di Cassazione numero 21769 del 9 Novembre 2005, ha stabilito che il numero di targa costituisce “il principale elemento di individuazione del veicolo”.

Rifornimenti
Ad ogni rifornimento, l’addetto alla distribuzione deve indicare nella scheda carburanti i seguenti dati:
ü la data;
ü l’importo del corrispettivo al lordo dell’Iva;
ü la denominazione o la ragione sociale ovvero il cognome e il nome dell’esercente l’impianto di distribuzione (anche a mezzo timbro);
ü l’ubicazione dell’impianto.
L’addetto deve anche “convalidare” quanto sopra indicato nella scheda carburanti, mediante l’apposizione della propria firma.
La firma del gestore dell’impianto di distribuzione costituisce, secondo quanto stabilito dalla sentenza della Cassazione numero 21941 del 19 Ottobre 2007, elemento essenziale della scheda carburante e quindi dalla sua assenza consegue l’invalidità della scheda ai fini previsti dalla legge, tra le quali l’attestazione della spesa, a fronte della quale sussiste il diritto alla detrazione dell’Iva a credito.
Al termine di ogni mese o di ogni trimestre, il soggetto intestatario dell’autoveicolo utilizzato nell’ambito dell’esercizio dell’impresa, deve indicare nella scheda carburante il numero di chilometri, dato questo che può essere facilmente ricavato dal dispositivo presente in tutti i veicoli.
L’indicazione del numero dei chilometri è preordinata all’intenzione dell’Amministrazione finanziaria di controllare il consumo del veicolo in rapporto ai chilometri percorsi alla fine del mese o del trimestre, “allo scopo di evitare artificiose ricostruzioni postume del contenuto della scheda”.
I lavoratori autonomi non sono tenuti ad osservare tale ultimo adempimento.

Ipotesi particolari di utilizzo della scheda carburante
Qui di seguito si riportano tre diverse particolari ipotesi, debitamente illustrate dalla circolare ministeriale numero 205/E del 1998:
1) Veicolo di proprietà del dipendente utilizzato per esigenze aziendali:
Nella scheda carburanti vanno indicati:
ü i dati identificativi del dipendente intestatario del veicolo;
ü i dati identificativi del datore di lavoro;
ü i chilometri percorsi con riferimento esclusivamente all’attività di impresa.
2) Veicolo a motore non abilitato alla circolazione stradale, munito di specifica autorizzazione alla circolazione
Esempi di tali veicoli possono essere dati da carrelli elevatori, macchine operatrici quali trattori ed escavatori.
Al posto della targa occorre indicare il numero di matricola della macchina e, se munita di idoneo dispositivo, il numero di chilometri e delle ore di lavorazione.
3) Attività di autonoleggio
Può essere utilizzata un’unica scheda per ogni stazione noleggiante.
A fronte di ogni rifornimento devono essere indicati gli estremi di immatricolazione di ogni veicolo noleggiato.

Casi in cui non può essere utilizzata la scheda carburanti
In alcuni casi, tassativamente indicati dal DPR numero 444 del 1997, la scheda carburante non può essere utilizzata per certificare gli acquisti di carburante.
L’articolo 6 del DPR di cui sopra, stabilisce che la scheda non può essere utilizzata con riguardo agli acquisti eseguiti da parte di:
ü Stato, enti pubblici territoriali, istituti universitari ed enti ospedalieri, di assistenza e beneficenza;
ü autotrasportatori di cose per conto terzi.
La circolare del Ministero delle Finanze numero 205/E del 1998 prevede le seguenti ulteriori casistiche in cui non può essere utilizzata la scheda carburante:
ü contratti di netting;
ü acquisti non effettuati presso impianti stradali di distribuzione;
ü acquisti eseguiti presso impianti stradali di distribuzione ma non destinati all’autotrazione o dei quali tale destinazione non può essere verificata al momento dell’acquisto;
ü acquisti eseguiti in assenza del personale addetto alla distribuzione (tipico esempio del “self-service”.
In tale ipotesi, con riguardo all’acquisto del carburante, il distributore emette, su richiesta del cliente, la fattura. Nel caso in cui risulti assente il personale addetto alla distribuzione, possono essere utilizzati i buoni consegna emessi dagli apparecchi automatici, da trasmettere poi ai gestori per l’esecuzione dell’adempimento in questione.

Il contratto di netting è un contratto di somministrazione, secondo il quale il gestore dell’impianto di distribuzione di carburante, dietro pagamento di un corrispettivo, effettua a favore della società petrolifera delle cessioni periodiche e continuative di carburanti alle imprese convenzionate con la società petrolifera che, a loro volta, hanno stipulato un contratto di somministrazione con tale ultima società.
La società petrolifera rilascia alle imprese convenzionate una tessera magnetica, con le quali possono essere effettuati i rifornimenti presso il distributore di carburante.
Una volta eseguito il rifornimento, viene rilasciato un buono di consegna del carburante prelevato. In tale buono di consegna trovano indicazione:
ü data e numero progressivo del buono;
ü dati identificativi della compagnia petrolifera;
ü dati identificativi del cliente;
ü dati identificativi dell’impianto presso il quale è stato effettuato il rifornimento;
ü quantità e qualità del prodotto erogato.
Nel caso in cui i rifornimenti vengono effettuati sulla base di un contratto di netting, non deve essere applicata la disciplina della scheda carburante, in quanto di tratta di un contratto di somministrazione di carburanti e non di cessione.

La congruità delle spese per carburanti
La Corte di Cassazione si è di recente espressa sul tema delle spese per carburanti, con la sentenza numero 7272 del 26 Marzo 2009, mediante la quale ha avuto modo di stabilire l’inattendibilità delle schede e, quindi, della contabilità in cui sono annotate, nel caso in cui dalle stesse scaturiscano costi sproporzionati rispetto all’attività svolta dal contribuente ed al suo parco auto.

L’inattendibilità delle schede carburante, causata dalla sproporzione degli importi in esse indicati, rappresenta da sola una presunzione di infedeltà della dichiarazione. In tale situazione, all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate viene offerta la possibilità di “fornire la prova dell’infedeltà della dichiarazione anche per mezzo di semplici presunzioni”. Da ciò consegue “lo spostamento al contribuente … dell’onere di provare il contrario”.
Nel corso del procedimento, l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate aveva richiesto la censura della sentenza emanata dalla Commissione Tributaria Regionale (favorevole al contribuente), di cui si riporta qui di seguito uno stralcio: “laddove, pur ritenendo illegittime le detrazioni d’imposta – a fronte di pretesi costi sopportati per l’esercizio dell’impresa … essendo -, rigetta gli appelli erariali e conferma l’annullamento degli avvisi di rettifica, in violazione delle norme indicate, che sanciscono, rispettivamente, la detraibilità dell’imposta relativa ad acquisti effettivamente eseguiti nell’esercizio dell’impresa, la possibilità per l’amministrazione di fornire la prova dell’infedeltà della dichiarazione anche per mezzo di semplici presunzioni, ed il conseguente onere della prova contraria a carico della contribuente”.
Quindi, la Commissione Tributaria Regionale, sebbene avesse giudicato inattendibili le schede, aveva ritenuto che ciò non fosse sufficiente per sostenere una presunzione di infedeltà della dichiarazione.

La Corte di Cassazione, invece, una volta asserita l’inattendibilità delle schede carburanti: “… l’amministrazione, in presenza di una contabilità che il giudicante a quo definisce , non è tenuta a provare la reale entità dei costi (che l’impresa contribuente si ritiene debba aver comunque affrontato, in qualche misura), essendo a carico della contribuente, priva di attendibile documentazione d’impresa, l’onere di provare i propri costi in altro modo valido; fermo restando il potere-dovere del giudice tributario di merito di determinare la giusta entità della rettifica, nei limiti in cui la contribuente abbia chiesto di provare e provato, anche mediante valide presunzioni, la misura effettiva dell’imposta (detraibile) pagata sugli acquisti realmente effettuati per l’esercizio dell’impresa …”

LO SCUDO FISCALE-TER: I CHIARIMENTI DELLE ENTRATE

L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato, in data 10 Ottobre 2009, la circolare numero 43/E, riguardante la disciplina dello scudo fiscale-ter. Il documento offre delucidazioni circa l’ambito di applicazione dello scudo fiscale introdotto dal Decreto Legge numero 78 del 2009, poi modificato in sede parlamentare (anticipo della scadenza entro la quale si può aderire allo scudo e allargamento delle coperture penali).
Sul flusso dei beni che saranno oggetto di emersione nei prossimi tre mesi vigilerà la Banca d’Italia, alla quale gli intermediari (nel novero degli intermediari sono state introdotte anche le Poste) dovranno comunicare le sanatorie eseguite ed il loro ammontare. Non sussiste più l’obbligo in capo agli intermediari, di trasmettere all’amministrazione i conti secretati e la persistenza dei doveri di segnalazione ai fini antiriciclaggio per gli illeciti non coperti da scudo.
Con riguardo alle strutture finanziare complesse, le Entrate concedono un lasso di tempo maggiore, data l’evidente complessità dell’operazione.
Il perfezionamento della sanatoria avviene con il versamento del 5 per cento del capitale rimpatriato o regolarizzato; più esattamente, il perfezionamento avviene con la messa a disposizione dell’intermediario della somma necessaria per il pagamento o con il relativo addebito in conto.

Valori da indicare nella dichiarazione riservata
Nella compilazione della dichiarazione riservata, per quanto attiene all’emersione di attività finanziarie, si può scegliere di indicare il costo di acquisto, valore corrente o valori intermedi; per le attività patrimoniali, deve essere indicato il valore compreso tra il costo di acquisto documentato e quello che scaturisce da una perizia di stima. La perizia di stima non deve essere allegata alla dichiarazione riservata. Quindi, la perizia di stima risulta obbligatoria, solamente che il contribuente sceglie di non indicare il costo indicato nell’atto di acquisto.

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